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Tylos

Le rovine di Tylos circondate dai miasmi delle Paludi Maledette

Tylos, chiamata anche Kavzar, Kazvar, Tilae o Til a seconda della fonte, era un'antica città-stato abitata da Uomini e Nani situata in cima a una collina nelle Paludi Maledette tra l'attuale Tilea ed Estalia. Gli umani abitavano la superficie mentre i Nani avevano costruito una fortezza sotterranea, permettendo a entrambi i popoli di prosperare grazie al commercio.[3a][4b][6a]

Dalle leggende dei Nani si narra che tutt'intorno alla favolosa città di Tylos crescessero ricchi e rigogliosi campi di grano, mentre sotto le colline che offrivano rifugio alla loro razza, ricche vene dei minerali più preziosi si estendevano nell'oscurità. Mentre le strade di Tylos erano lastricate d'argento e gli edifici d'oro, il possente tempio dedicato agli dei era fatto di gromril, giada e marmo. Al di sopra si estendeva una grande torre che raggiunse un'altezza ultraterrena ma non fu mai completata fino all'arrivo di un misterioso sconosciuto.[4b]

Eppure una terribile disgrazia sarebbe caduta su questo regno un tempo prospero, che col tempo diede vita alla ripugnante razza Skaven e trasformò le rovine di Tylos nelle vaste tane sotterranee di Skarogna, la capitale del grande Sotto-Impero Skaven.

Storia[]

Nel silenzio assordante delle profondità del Vecchio Mondo, mentre in superficie popoli e bestie si stavano muovendo per forgiare le proprie realtà, fondando città o depredando; qualcosa aveva iniziato a confabulare all’insaputa di coloro che a poche centinaia di metri sopra stavano combattendo battaglie, edificando e coltivando, nell’obbiettivo ultimo di ricucirsi un posto in quel mondo ancora giovane. Occhi rossi immersi nell’oscurità umida al contrario si iniziarono a mobilitare, rapidi e schivi, piccole creature figlie della pietra mutagena, dotate di una intelligenza furba e malevola stavano muovendo i loro primi passi, ben nascosti agli occhi dei più, crescendo in numero e soprattutto in bramosia di potere, una necessità quella di conquista e supremazia che avrebbe ben presto minacciato un’intera cultura condannandola all’oblio.

Tempi remoti quelli in cui gli Skaven si palesarono per la prima volta, ben poco viene rimembrato di quel terribile evento, eppure nonostante gli uomini ratto non abbiano interesse a mantenere viva la propria storia qualcosa è giunto grossomodo inalterato da quel passato remoto, un racconto scritto da mano umana capace di suscitare timore in chiunque abbia la capacità di leggere tali oscuri parole, eventi al limite tra realtà e leggenda che danno vita al destino di Kavzar.

Il Vecchio Mondo era ancora una terra giovane, la prima grande invasione del Caos aveva fatto il suo corso lasciando dietro sé cicatrici profonde; tuttavia, il reame materiale si era dimostrato più florido delle deplorevoli forze schierate dalle oscure divinità, la vita era rifiorita e le culture che erano riuscite a resistere a quell’immane ondata di distruzione, riottennero forza come gli Asur ad Ulthuan o i Dawi sotto le radici delle montagne.

Tra le razze create dagli Antichi quella umana era stata capace di rialzarsi con un fiorire di culture differenti in tutte le terre da loro popolate, nei pressi del fiume vitae la civiltà Nehekhariana muoveva i suoi primi passi, a nord ai piedi dei monti ai confini del mondo varie tribù stavano creando una propria identità seppur scontrandosi, nell’oriente più estremo una nazione umana si era addirittura già affermata.

Tra queste realtà umane così lontane e diverse, una riuscì a sbocciare autonomamente in un lembo di terra stretto tra montagne e mare, un piccolo paradiso riflesso di quello che gli elfi abitavano al di là dell’orizzonte, fiumi scendevano in ampie vallate mosse tutt’attorno da colline verdeggianti e da boschi ricchi di vita, il sole irradiava fortemente quei terreni donando fertilità impareggiabile nelle aree circostanti, una culla perfetta per la vita umana.

Ai piedi dei Monti Irrana, un’ampia vallata si estendeva per km e km, tra tutte le terre a disposizione delle tribù umane di Tilea, quella era di gran lunga la più fertile e adatta all’agricoltura, estesa fino al golfo delle perle ad oriente e a lambire le montagne Abasko ad occidente, in questa area circoscritta qualcosa aveva iniziato a muoversi o meglio secondo le leggende narrate nel “Bellona Myrmidia”; qualcuno.

In quel tempo gli Elfi di Ulthuan iniziarono ad ampliare le proprie rotte commerciali entrando in contatto con i Dawi del Karaz Ankor sempre più spesso, le prime colonie vennero fondate e anche sulle coste meridionali di Tilea le città elfiche presero a stagliarsi sui paesaggi locali con le loro snelle e alte torri bianche, simbolo non solo di ricchezza ma anche della raffinata cultura degli Asur, la bellezza e il buon gusto che parevano distinguerli dagli esseri umani.

Le tribù degli uomini che si erano stanziate poco più a nord per lo più continuarono a vivere le proprie vite di sussistenza, senza troppo curarsi dei sopraggiunti inquilini elfici, le carovane commerciali che si muovevano lungo le nuove strade venivano viste con curiosità, alcuni tra i più intraprendenti delle tribù riuscirono ad avvicinarsi ai commercianti Asur riuscendo a barattare pelli per oggetti come coppe o pugnali oppure armi da caccia come sinuosi archi e frecce dalle punte lanceolate.

I timidi contatti tra umani ed Elfi non erano però apprezzati da chiunque, un capo tribù osservava quei prodigi architettonici stranieri con gran rammarico verso sé stesso e il suo popolo, come era possibile giungere ad una tale capacità? Come si poteva riuscire ad ergersi tanto in alto? Quale ingegno occorreva per abbandonare la vita umile che gli uomini vivevano da sempre per elevarsi infine alla bellezza? Tyleus da capotribù si chiedeva tutto questo, sentendosi così lontano da quella perfezione apparentemente irraggiungibile.

La volontà di Tyleus si dimostrò ben presto capace di ottenebrare i suoi pensieri, la sua tribù non era abbastanza ricca né avanzata da superare né tanto meno eguagliare la grandezza delle città Asur, eppure gli umani meritavano una vita migliore di quella che avevano sempre vissuto, per Tyleus era impossibile immaginare un così ampio divario, doveva pur esserci un modo. Girovagando in lungo e in largo per quelle fertili terre, cercò un luogo che potesse dare di più oltre al sostentamento, occorrevano minerali in quantità, roccia, e legname a sufficienza, ma anche con quelle materie prime sarebbe servito il più prezioso dei beni, la conoscenza; l’arte del saper scavare, estrarre i minerali, forgiare strumenti utili al taglio della pietra e ancora di ingegneria…insomma un’impresa che ben presto si fece palese essere pressochè irraggiungibile.

Nonostante Tyleus avesse lambito molte nuove terre, spingendosi ben oltre i territori originari della sua tribù, non era stato in grado di trovare un luogo adatto e le idee per il dopo erano totalmente offuscate, lo sconforto lasciò il posto alla rabbia e infine alla disperazione, la rassegnazione stava per coglierlo quando una donna alta e slanciata dai capelli corvini si palesò al suo cospetto, il suo sguardo fisso e intenso emanava sicurezza, il suo volto di una bellezza mai vista prima celava marzialità e con sé portava parole di speranza. La donna ascoltò caritatevolmente le parole colme di ansia e insoddisfazione di Tyleus, comprendendo lo sconforto di un uomo che desiderava dare ai suoi simili la grandezza che meritavano, una vita migliore, una civilizzazione reale e capace di rivaleggiare anche con la raffinatezza elfica, quell’uomo che tanto aveva ricercato un modo per raggiungere il suo desiderio che in vero forse era il desiderio dell’umanità, aveva colpito la bellezza femminea che decise così di aiutarlo.

La dama guidò Tyleus per molte delle terre che aveva già attraversato, l’uomo dal canto suo non stava ben comprendendo ciò che gli era capitato, si limitò a tacere e guidare la sua tribù verso gli orizzonti che quella misteriosa donna stava scrutando. Passarono mesi fino a quando la Dama non decise di fermarsi, davanti a lei si allungava una conca naturale incorniciata da alte vette tutt’intorno lungo l’intero orizzonte settentrionale, alle spalle ampie praterie che sarebbero potute divenire campi coltivabili e sotto i suoi piedi un’alta collina che offriva una posizione privilegiata sul circondario, quello era il luogo scelto, lì la civiltà di Tyleus a lungo immaginata poteva mettere radici e fiorire secondo la sua visione.

La fanciulla donò a quegli uomini molte conoscenze, tutto il necessario per poter sfruttare al meglio l’ambiente circostante, non solo questo, ma anche i tecnicismi utili ad erigere edifici più complessi di semplici tende e capanne, le prime architetture complesse si iniziarono a stagliare sulla collina solitaria, ben presto le attività commerciali più basilari si instaurarono sull’onda dei prodotti dati dalle ricche terre limitrofe, così un villaggio e in breve un vero e proprio paese crebbe prendendo il nome di Tylos in onore di Tyleus l’eroe che aveva con coraggio deciso di perseguire il suo sogno fin lì. Con lo sviluppo di una vera e propria economia, la cittadina attirò ben presto l’attenzione dei commercianti in attività nelle colonie elfiche più vicine, i contatti iniziarono timidamente per poi divenire sempre più frequenti e remunerativi, con quella rete di scambi la cultura degli Asur prese a diffondersi anche tra gli umani che progredirono ancor di più, con rapidità e senza porsi veri limiti nell’apprendere.

Gli Elfi non furono i soli a stabilire un rapporto con la neonata realtà urbana degli uomini, anche le gilde erranti dei nani delle montagne nere fiutarono le succulente possibilità di ottenere ricchezza, sempre più dawi si fermarono in città, fino a quando un intero clan nomade non decise di legare il proprio destino a quello di Tylos; Tyleus e la dama dai capelli corvini accolsero i nuovi giunti, che si attivarono subito nella creazione di una speculare città sotterranea dove avrebbero abitato comunque a stretto contatto con gli umani della superficie, donando una vitalità mai vista prima alla città che nel Vecchio Mondo divenne nell’arco di poche decine di anni la città umana più popolosa e florida.

Tylos continuò inesorabilmente a svilupparsi tanto in superficie quanto nel sottosuolo, i Nani iniziarono a chiamarla Kavzar e le loro conoscenze ingegneristiche vennero scoperte anche dagli umani, ben presto il rapporto tra i due popoli risultò ben più che utile per entrambi, i Nani potevano beneficiare delle coltivazioni umane, il cibo non era mai assente, mentre gli abitanti della superficie poterono avere accesso alle ricchezze del sottosuolo oltre che alle capacità manifatturiere superiori dei dawi, così la potenza economica di Tylos si assestò su un nuovo livello, rivaleggiando finalmente con le città elfiche più a sud.

Il sogno di Tyleus sembrava finalmente essersi realizzato, eppure il leader umano, sembrava non riuscire ad accontentarsi, qualcosa non riusciva a soddisfarlo, una sorta di disturbo nel portentoso risultato che aveva ottenuto, la dama dai capelli corvini comprese che nell’uomo c’era grande inquietudine, cercò di aiutarlo come d’altronde già aveva fatto in passato, ma quando scoprì che cosa stava maturando nei pensieri di Tyleus, venne colta da sconforto; l’eroe che aveva scelto voleva rendere grazie alle divinità per la fortuna ottenuta, senza rendersi conto che Myrmidia stessa una divinità, lo aveva aiutato fin dal principio e non chiedeva nessun atto di ringraziamento.

Nonostante i tentativi di persuasione di Myrmidia, Tyleus diede il via ad un nuovo cantiere nella città, il più grande e impegnativo mai visto fin dalla fondazione, un tempio sarebbe stato eretto e questo avrebbe dovuto adombrare qualsiasi altro edificio non solo di Tylos ma di tutto il mondo, persino degli Asur, il progetto prevedeva una torre tanto alta da lambire le nuvole e sfidare i picchi montani. Vennero consultati i nani e una volta ottenuti tutti i consigli utili, gli uomini della città si misero al lavoro, speranzosi nel fatto che una volta completato gli Dèi li avrebbero ricompensato i loro sforzi con fortuna ancora maggiore.

Le settimane di lavoro si tramutarono lestamente in mesi e poi in anni, le chiome ingrigirono e il compito dei padri ormai invecchiati passò ai figli, così i figli invecchiarono passandolo ai loro figli, fino a quando la struttura immensa non acquistò la forma del progetto originario, tuttavia l’ultima fatica attendeva e consisteva proprio nella costruzione della torre, altri anni scivolarono via lestamente ma non altrettanto rapidamente la torre si levò in altezza, al contrario ad ogni generazione di uomini questa diveniva sempre più difficile da erigere, le pietre sagomate non riuscivano ad essere trasportate fino alla cima e nemmeno l’ingegneria nanica stava trovando nuove soluzioni, erano passati secoli e il tempio non era stato ancora completato.

Myrmidia amareggia dalla sciocca ossessione degli umani di Tylos instillata loro da Tyleus stesso, decise di abbandonarli al loro fato, scomparendo dal Vecchio Mondo verso orizzonti sconosciuti, non sarebbe tornata a calpestare quelle fertili terre per molto tempo a venire, almeno fino a che negli uomini non si sarebbe ridestata la saggezza e l’onore.

La chiave di volta determinante nella conclusione dell’immane lavoro restò sfuggente, la disperazione iniziò a levarsi dal popolo della città, i nani non riuscivano a dare risposte nonostante avessero contribuito enormemente al lavoro fino a quel punto, la gloria di Kavzar pareva sfuggire nonostante la grandezza che già si era palesata, nulla pareva poter porre rimedio allo stallo, forse la fortuna di Tylos era terminata, che quella tremenda realtà potesse essere il monito di un’era di declino?

Fu proprio quando la disperazione attanagliava ormai i cuori e le menti dei figli di Tyleus che alle porte della città si presentò una figura solitaria, un uomo di bassa statura dalla schiena ricurva e completamente avvolto da un mantello grigio con un cappuccio tanto ampio da adombrargli il volto, egli al di là del suo aspetto rivendicava per sé un grande potere, la sua retorica seppe fare breccia negli uomini che lo ascoltarono ammaliati, infatti a detta del misterioso uomo incappucciato, se gli abitati di Tylos si fossero fidati. avrebbe completato per loro la torre del tempio in una sola notte, l’unica richiesta era quella di porre sulla cima dell’edificio un oggetto votivo da dedicare alla grandezza degli Dèi.

Per quella piccola quanto innocente richiesta i cittadini decisero di accettare l’aiuto dello straniero, la strenua volontà di completare l’opera o per meglio dire la totale disperazione nel non riuscire a farlo, li aveva condotti fin lì, lo sconosciuto incappucciato aveva semplicemente trovato la miglior condizione per farsi ben volere.

Giunse il crepuscolo e quando l’ultimo bagliore di luce stava affievolendo dietro le montagne all’orizzonte, con il cielo ancora tinto di rosso e arancione, lo straniero incappucciato si diresse verso il Grande Tempio ma solo dopo aver intimato agli abitanti di Tylos di non seguirlo per nessun motivo, soltanto giunta la mezzanotte tutti si sarebbero dovuti riversare in strada per poter godere del prodigio che meritavano e che per più di un secolo avevano agognato.

L’oscurità calò sul mondo, il cielo si macchiò di nuvole sparse che celarono le lune gemelle Mannslieb e Morrslieb, intorno ai focolari delle case, famiglie intere attendevano con sottile nervosismo notizie della missione intrapresa dallo straniero, qualcuno sbirciando tentava di scrutare la cima dell’alta torre senza però riuscirci, altri in silenzio osservavano il muoversi delle lancette, scandendo ogni attimo con lo sguardo fisso sullo strumento. L’attesa parve essere eterna ma infine vicino allo scoccare della mezzanotte il popolo di Tylos si riversò nelle strade fin dentro la piazza del tempio. Alzando la testa al cielo tutti si meravigliarono grandemente, là tra le nubi la torre era stata davvero completata e ora si levava come una snella lancia capace di trafiggere gli astri, tanto pura e candida da essere quasi accecante anche nella notte, sulla vetta estrema una campana incisa di ricche rune pendeva brillando quando le nuvole si spostavano dando modo alle lune di illuminarla, la bellezza dell’opera finalmente conclusa dopo generazioni scatenò grande gioia, i cittadini cercarono con lo sguardo l’eroe che era riuscito nell’impresa per lodarlo senza riuscire però a trovarlo. Il silenzio rotto solo dal mormorio della folla avvolgeva tutta la piazza, ma allo scoccare della mezzanotte in maniera del tutto incomprensibile la grande campana sulla ciba della torre iniziò a suonare, una due, tre volte la campana suonò i suoi toni pesanti e carichi di sventura si propagarono per la città, quattro cinque sei volte, lenti i battiti come quelli di un gigante di bronzo, sette otto, nove, ad ogni rintocco il suono cresceva sempre più forte facendo barcollare la folla e costringendoli a tapparsi le orecchie, dieci, undici, dodici e in alto nel cielo la luce di Mannslieb sembrava venir meno in favore del verde bagliore sempre più brillante di Morrslieb, tredici e al tredicesimo rintocco un fulmine squarciò il cielo, il boato rispose a seguire infine di nuovo il silenzio e il buio totale. La paura aveva già preso a serpeggiare tra i cittadini, ma questi preferirono rincasare, nella speranza che ciò cui avevano assistito fosse solo un terribile momento, la campana aveva smesso di suonare e questo non poteva che essere un buon segno, l’alba avrebbe portato nuova tranquillità e sarebbero tornati al tempio.

Giunse la mattina e aperti gli occhi dopo un riposo stentato, i cittadini di Tylos videro che il cielo era completamente cinto da nubi temporalesche e in breve da quelle nuvole venne la pioggia, ma nemmeno la pioggia era priva di stranezze, questa infatti cadde a terra tingendo di nero ogni superficie, sempre più intensamente inondando le strade di cupi colori cangianti, fiumi di pece si generarono mettendo in fuga gli uomini.

La pioggia cinerea continuò a cadere e a cadere ancora per tutto il giorno e anche quello seguente, ancor peggio allo scoccare di ogni mezzanotte la campana riprendeva a suonare per 13 rintocchi inesorabili e tremendi, una cacofonia che divenne sempre più un memento mori per tutta Tylos e così mentre i giorni diventarono settimane e le settimane mesi, senza vedere un accenno alla fine dell’innaturale pioggia, gli abitanti umani chiesero aiuto ai nani cercando la loro saggezza, tuttavia vennero respinti per l’offesa precedente, per i dawi infatti l’essersi appellati ad uno straniero era stata un’onta pesante da subire e non si sarebbero ammorbiditi davanti alle loro richieste.

I raccolti sempre abbondanti fino a prima delle piogge iniziarono a marcire ancora nei campi, la paura spinse la maggior parte dei cittadini a rinchiudersi in casa rannicchiati e tremolanti come foglie d’autunno. Messaggeri furono inviati al di fuori della città, in luoghi lontani nel tentativo di trovare aiuto all’esterno e nel frattempo vennero organizzati sacrifici per tentare di placare le divinità che all’apparenza erano divenute iraconde. Nessun aiuto però arrivava, nessun messaggero tornava vivo, gli Dei tacevano, lasciando il rumore costante della pioggia come unica tetra colonna sonora. Le precipitazioni funeste si fecero sempre più intense, trasformandosi in grandine dai chicchi tanto grandi da riuscire a frantumare le teste di chi osava avventurarsi fuori dal proprio riparo, la campana risuonava a morto ogni notte annunciando un peggiorarsi delle condizioni metereologiche fino a che delle meteore presero a precipitare un po’ ovunque, in seguito la gente iniziò ad ammalarsi e a morire fra atroci sofferenze, mentre i nuovi nascituri sviluppavano tremende malformazioni tali da ucciderli alla nascita o peggio in grembo alle madri, ancor peggio con le meteore iniziarono a mostrarsi i topi, sciami di parassiti zampettanti che si intrufolarono nei granai divorando le ultime riserve di cibo ancora intatte.

La carestia iniziò ad annientare la resistenza della popolazione ormai allo stremo, così gli anziani della città cercarono di nuovo di mettersi in contatto con i nani, chiedendo questa volta di condividere il cibo e permettendo agli umani di scendere al riparo nei tunnel sotterranei per sopravvivere alla catastrofe in corso. I Dawi in questa occasione risposero con aperta rabbia, si infuriarono con gli anziani di Tylos accusandoli di aver condotto la pioggia innaturale e che questa era riuscita a filtrare allagando i tunnel di stoccaggio del cibo, guastando completamente le scorte, il riparo e il cibo erano a malapena sufficienti per le famiglie naniche, per nessun motivo avrebbero accettato le assurde richieste umane, gli Anziani vennero cacciati e le porte d’accesso chiuse alle loro spalle. Nelle rovine della città superiore la situazione continuò ad aggravarsi costantemente, nella disperazione gli abitanti iniziarono ad insultare gli Dèi per cui avevano eretto con fatica il tempio e l’alta torre, si sentivano abbandonati e anzi traditi, tanto da spingere alcuni di loro a venerare i poteri oscuri e addirittura invitando il male in città per salvarli dalla lenta morte; tuttavia, anche in questo caso nessuna risposta è arrivata. Al contempo i ratti erano diventati più aggressivi oltre che più numerosi e grandi, ormai divenuti signori di una Tylos in rovina vagavano in libertà assoluta mangiando le carni dei cadaveri e trascinando nelle ombre chi non poteva opporsi alla marea rosicchiante.

Gli uomini venivano visti come creature da braccare in quella che era la loro stessa casa, nonostante tutto ciò che stava accadendo una costante era però rimasta, ad ogni mezzanotte la campana risuonava sempre 13 volte con un suono che era divenuto sempre più rimbombante e quasi trionfante.

Davanti alla ormai inesorabile fine, gli abitanti ancora in vita della città superiore decisero di compiere un atto estremo pur di sopravvivere, recuperarono le armi a disposizione e si presentarono dinnanzi alle porte d’ingresso dei tunnel nanici, pretendendo di entrare, non udendo alcuna risposta e credendo di essere ignorati si munirono di arieti improvvisati e sfondarono le porte aprendosi finalmente la strada verso il tanto agognato riparo.

Lo spettacolo che si trovarono sotto gli occhi fu però ben diverso da quello atteso, i tunnel sapientemente scavati erano bui e privi di vita, nessuna luce ad illuminare il cammino, solo nelle sale più basse e ricche vennero rinvenuti inquietanti mucchi d’ossa completamente spolpate e logori vestiti ormai abbandonati, testimonianza unica del destino incontrato dalla fiera stirpe nanica. Proprio quando i cittadini si resero conto dell’orrore consumatosi anche sotto i loro piedi, con le fiaccole ormai giunte all’esaurimento, il buio prese ad avvolgerli, nella fioca penombra si illuminarono miriadi di occhi rossi e malevoli, gli uomini ormai spalle al muro scelsero di combattere. I topi attaccarono come un’unica massa carnosa, riversandosi sui resti malridotti dei fieri abitanti di Tylos, che schiena contro schiena si opposero come uno scoglio al sopraggiungere dell’ignobile nemico, purtroppo per loro quella resistenza era coraggiosa quanto futile, l’ora dei figli di Tyleus era finita, l’ora del Ratto era giunta mentre in superficie quasi a voler fare beffa della fine degli uomini la campana con le rune illuminate di verde suonarono ancora una volta sancendo la caduta di Kavzar.

Alcune leggende narrano di come gli uomini riusciti a fuggire alla caduta del regno si dispersero ad Est e ad Ovest della città, andandosi ad unire alle tribù che avrebbero poi formato le nazioni di Tilea ed Estalia. Tale credenza è ancora forte nell'orgoglio del popolo tileano.

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Fonti[]

  • 1: Gli Eserciti di Warhammer: Skaven (7a Edizione)
    • 1a: pp. 30-31
    • 1b: pp. 16-17
    • 1c: pg. 42
  • 2: Warhammer Fantasy Roleplay 2a Edizione: Tome of Salvation (RPG)
    • 2a: pp. 10-11
    • 2b: pg. 40
  • 3: Gli Eserciti di Warhammer: Mercenari (5a Edizione)
    • 3a: pg. 85
  • 4: Warhammer Fantasy Roleplay 2a Edizione: Children of the Horned Rat (RPG)
    • 4a: pg. 35
    • 4b: pp. 26-28
  • 5: Warhammer Fantasy Roleplay 3a Edizione: The Player's Guide (RPG)
    • 5a: pg. 134
  • 6: Gli Eserciti di Warhammer: Skaven (8a Edizione)
    • 6a: pp. 252-253
  • 7: Blighted Empire (Romanzo) di C.L. Werner
    • 7a: Ch. 12
  • 8:The Loathsome Ratmen and All Their Vile Kin (Libro di Background)
    • 8a: pp. 71-73